Faust e l’insopprimibile bisogno del mito – Aspasia S:::I:::
In ambito popolare, letterario ed artistico, si assiste alla persistente riproposizione di leggende e storie che ruotano intorno alla figura del Faust che, ad esempio in Goethe è interpretato da uno studioso ormai vecchio che si fa tentare dal Diavolo (Mefistofele), al quale vende la propria anima in cambio dell’eterna giovinezza, della sapienza e del potere.
Queste storie pur riferendosi ad uno specifico personaggio, Faust per l’appunto, in realtà parlano del cammino dell’intera umanità dalla sua venuta al mondo fino alla maturità che progressivamente riesce a realizzare. In questi racconti, che possono essere definiti mitologici, l’uomo di ogni età vi si ritrova e vi si rispecchia poiché in essi si evidenziano esperienze e situazioni che fanno parte dell’immaginario collettivo ed aiutano a superare i limiti spazio-temporali che affliggono l’essere umano.
Il mito è la modalità attraverso la quale l’umanità esprime i processi mentali che riguardano le proprietà dell’anima i cui travagli più profondi affiorano alla coscienza per mezzo dei racconti, usanze popolari, manifestazioni artistiche, fiabe e leggende.
La costante ripetizione della stessa “idea” con le differenti forme alle quali si è fatto riferimento, serve a mantenerne vivo il ricordo e soprattutto consente di attivare continuamente la comunicazione tra la coscienza e l’inconscio.
Il tema-mito subisce nel corso del tempo umano delle metamorfosi, ma resta inalterato il bisogno dell’uomo di servirsi delle leggende e delle storie per prendere maggiormente coscienza di ciò che era all’origine, di ciò che è e quali sono i suoi desideri inappagati, dimenticati o inespressi.
L’indagine sulle leggende e sulle storie, nelle loro inevitabili mutazioni, aiuta ad individuare il segreto nascosto in esse e a conoscere meglio l’odissea del singolo essere e, con una certa approssimazione, il cammino del genere umano nella sua totalità.
Le figure archetipe agiscono sempre dentro di noi, così che l’individuo appassionato di giustizia incarna Antigone, il ribelle fa rivivere Prometeo, colui che cerca senza sosta è un Orfeo, la madre che uccide la prole si identifica con Medea e così via. Gli eroi sono dentro di noi e noi stessi siamo dentro di loro e conseguentemente i miti, le leggende, o le ritualità, esprimono la poliedricità dell’essere umano.
Il mito ci dice quanto vi è di eterno nell’uomo e quale testimone viene trasmesso di generazione in generazione. Il mito racconta la grandezza e la fragilità dell’essere, i suoi conflitti e le sue lotte sia contro se stesso che contro gli dei, offrendo la possibilità di individuare la storia e l’evoluzione delle idee con tutte le metamorfosi, gli adattamenti, le rivisitazioni ed i camuffamenti che queste assumono nel continuo fluire del tempo.
Diventa “mito” però soltanto ciò che l’umanità considera “straordinario”, ciò che va al di là dei limiti propriamente umani e soprattutto ciò che assume carattere universale e si ripropone di continuo.
Il mito del Faust ha una importante funzione poiché è l’attento esame del valore e dei rapporti di sottomissione o ribellione che l’uomo, da sempre, ha avuto e continua ad avere con la divinità. La relazione tra l’uomo e la divinità ha dato vita ad una complessa ed intricata avventura, costellata da domande che non trovano risposte, eresie, ribellioni, desideri, trasgressioni e conversioni, che seguono un movimento circolare senza soluzione di continuità. Il mito ha anche un suo percorso storico individuabile retrospettivamente. Volgendo indietro lo sguardo si può infatti osservare come nell’età classica il mito era ritenuto “sacro”, mentre nell’età moderna si è tentato di rimuoverlo, sfregiarlo o annientarlo.
Tuttavia anche i tentativi di rimuovere o sfregiare un mito segnalano che l’uomo non riesce a liberarsene perché quella è la parte inconscia che custodisce i ricordi dell’infanzia del genere umano.
L’itinerario del mito pone in evidenza l’eterno conflitto esistente tra le figure “padre-figlio”. Ogni volta che il “figlio”, che viene dopo il padre e che ne è anche il frutto, rimaneggia un mito pone in atto una trasgressione nei confronti del “padre”, va contro la tradizione e nello stesso tempo apporta cambiamenti ideologici, etici e metafisici, nella convinzione di aver superato i miti perché inutili. Queste dinamiche sono molto attuali, basta riflettere sul processo di desacralizzazione posto in atto dalla fine del ‘800 e tutt’ora in corso.
L’uomo non può però rinunciare e fare a meno del sacro e del mito poiché nella forma sacra del mito vi è la matrice di quello che eravamo e quello siamo divenuti. Nel mito c’è la memoria di tutte le esperienze primordiali attraverso le quali siamo diventati ciò che siamo attualmente. Il mito è il patrimonio dell’umanità in quanto è la storia sacra di ciò che è l’uomo e Dio.
Il mito di Faust può essere definito come una storia del pensiero e dell’essere umano, considerata dal basso, sul piano terreno, una storia vissuta molto intensamente da coloro che lo incarnano e che riguarda in modo particolare il tipo di fede che l’uomo ha in sé stesso, in Dio e nel male.
Incarnando il mito di Faust ci si avventura nella storia delle idee e dei sentimenti riguardanti il rapporto tra l’uomo e la divinità.
Nell’essere umano resta insoddisfatta la fame del sacro e nella storia di Faust, con la sua bramosia per la conoscenza e la sua abiura di Dio, il patto con il diavolo è la testimonianza di questa insoddisfazione anche in un’epoca tecnologica come è quella contemporanea.
In questa realtà nella quale tutto è riproducibile tecnologicamente in serie e all’infinito, l’uomo soggiogato dalla tecnica e dalla scienza, ha ancora dentro di sé il desiderio di riscoprire l’aura mitica della propria esistenza per poterle attribuire un senso che non sia riconducibile al contingente e al tempo.
Il mito gode di una vita propria poiché riaffiora nei momenti più impensati, a volte cambia di significato, spesso si articola in variazioni paradossali ma conserva la sua funzione miracolosa di sacralizzare nella fantasia poetica ed artistica il contingente quotidiano per ricordarci che una volta, tanto tempo fa, siamo stati fanciulli sognatori ed eroi simili agli dei.
Il mito trasforma le singole esperienze individuali in principi universali e trascendenti, consentendo di pervenire ad una comprensione sempre più profonda del significato intrinseco delle complesse vicissitudini umane.
Il tema-mito del Faust con riferimento specifico all’opera di Goethe riguarda i rapporti dell’essere umano con la sfera dell’immaginario, della evoluzione ed involuzione delle idee, del perenne conflitto insito nel rapporto dell’uomo con Dio.
Tutto questo riguarda certamente la sfera del conscio-inconscio del singolo essere ma prima ancora la coscienza di una intera civiltà, di una nazione, di un gruppo, dell’umanità intera, di cui si evidenziano le idee, gli umori ed il destino.
Come si fa a sapere in quale momento un mito muore? Fino a che punto un mito riesce a sopravvivere nonostante venga camuffato o travestito?
Ogni mito nasce, vive e muore. La morte del mito si verifica nel momento in cui “l’idea” di cui è espressione e simbolo non è più autentica e non corrisponde più ad un preciso bisogno dell’anima. Anche il mito si spoglia di quanto è superfluo per il benessere dell’umanità. È tuttavia necessario risvegliare continuamente la sua vita con rappresentazioni il più possibile aderenti al tempo contingente per non far languire e inaridire l’anima.
IL FAUST DI GOETHE ED IL PAZIENTE GIOBBE
L’opera di Goethe viene da alcuni definita una tragicommedia poiché trattasi di una tragedia che ha, come le commedie, un finale felice: Faust si salva e viene elevato in Paradiso.
Faust è l’alter ego di Goethe, è l’autore stesso che, attraverso il protagonista, affronta in modo sublime ed articolato, il dilemma che sta alla base della diffusione del mito: tendere con ogni mezzo a compenetrare gli “Arcana Dei” chiedendo aiuto a Mefistofele, essere divino o semidivino, unico soggetto disposto a soddisfare questo desiderio di conoscenza non mediata; oppure vivere contenti al “quia” come Virgilio suggerisce a Dante che si era stupito di vedere soltanto la sua ombra e non anche quella della sua guida (Purgatorio, III, 28-45).
Dante, uomo del 1300, e Goethe, uomo del secolo dei lumi, hanno idee divergenti. Per Dante i misteri di Dio sono imperscrutabili e incomprensibili perché l’intelletto umano è limitato. I grandi misteri, compreso quello della Trinità, sono e restano per l’uomo inaccessibili e tutto quello che Dio ha voluto rivelare di sé stesso lo ha fatto attraverso l’incarnazione in Cristo.
Goethe è su altre posizioni: rifiuta l’idea che il bisogno di conoscere sia peccato o desiderio illecito, contesta il monito a restare contenti al “quia” dantesco, non comprende perché la scelta di Adamo di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza per autodeterminarsi debba considerarsi un arrogante atto di “hybris”, un atto di orgoglio e concupiscenza.
Mefistofele si presenta a Faust con le sembianze di un cane nero, successivamente si trasforma in diavolo e tenta Faust allo stesso modo in cui Adamo nella Genesi viene tentato da Satana. Ma Faust, il ribelle, viene salvato ed elevato al cielo e questa salvezza impone una rilettura dell’episodio biblico sulla tentazione adamitica e conseguente dannazione dell’uomo dopo la cacciata dal Giardino dell’Eden.
Il mito faustiano è incentrato sulla tentazione di Satana che nel poema goethiano viene impersonato dal diavolo Mefistofele. I vari autori della storia di Faust, nel corso del tempo hanno modificato la valutazione etica del patto stretto con il diavolo ed il grado di responsabilità del dottor Faust e quindi dell’esser umano in generale.
Faust è pienamente intenzionato a conoscere ma non più attraverso i libri, bensì in modo immediato ed esperienziale e persevera nel mangiare l’adamitico frutto della conoscenza del bene e del male.
Vengono enunciate due scommesse: la prima tra Dio e Mefistofele e la seconda tra Mefistofele e Faust. Mefistofele le perderà entrambe. Con la prima scommessa il diavolo è sicuro che riuscirà a tentare Faust e a farlo suo ma Dio gli risponde: “Finché egli vivrà sulla terra/ non ti sia ciò proibito: l’uomo è soggetto ad errare sin tanto che lotta ed anela” (Johann Wolfgang Goethe (a cura di G.V. Amoretti), Faust e Urfaust, Feltrinelli, Milano, 2002, v.1, p.17).
Nelle parole “l’uomo sbaglia finché lotta e cerca” è racchiuso il nucleo di tutto il dramma che ben rappresenta l’instancabile impegno che Faust mette nella ricerca e nell’azione, azione che Goethe chiama “Streben”. Faust diventa immortale per il suo “Streben”, per il suo titanico sforzo, per il suo continuo tendere verso la conoscenza, verso la meta irraggiungibile alla quale rinuncia solo sacrificando la sua stessa vita.
Faust preferisce morire piuttosto che rinunciare al suo anelito, a ciò che può esservi di più elevato e che va al di là del piacere sensuale, al di là dell’eterna giovinezza e del potere sugli uomini e sulle cose.
Il Mefistofele goethiano si presenta come una figura viva, come l’altra faccia del Bene. Egli è il Male e la tenebra senza i quali non sarebbe possibile riconoscere il Bene e la Luce. All’origine Bene e Male formavano un Tutto. Per Goethe “le potenze del cielo e dell’inferno” costituiscono l’elemento unitario di cui Dio e l’anima dell’uomo sono composti. L’uomo è umano perché in lui coabitano il bene e il male.
La scommessa tra Dio e Mefistofele descritta nel prologo di Goethe richiama alla mente l’analoga scommessa narrata dalla Bibbia nel “Libro di Giobbe”, con una variante apportata da Goethe sulla morale finale.
La morale del racconto biblico è molto chiara: Giobbe sa che non deve cedere ad alcuna tentazione anche a costo della propria vita. Il messaggio morale biblico è che l’uomo deve accettare la propria limitatezza ed il suo destino di essere mortale ed imperfetto.
Nel “Prologo” del “Libro di Giobbe” Giobbe è presentato come “uomo integro e retto, e temeva Dio ed era alieno dal male” (II). Giobbe aveva una vita felice, una famiglia numerosa ed unita, una certa agiatezza e soprattutto era fedele a Dio. Satana, dopo aver effettuato un “giro sulla terra”, si presenta al cospetto di Dio che gli chiede se aveva apprezzato e notato la fedeltà del suo servo Giacobbe. Satana gli risponde che Giobbe è fedele perché ha tutto quello che ogni uomo può desiderare ma se gli venisse tolto il benessere o la felicità dei sentimenti il suo comportamento sarebbe certamente diverso.
Il Signore chiede allora a Satana di tentare Giobbe con ogni mezzo e di metterlo alla prova. Satana provvede ma Giobbe, nonostante le atroci sofferenze subite per la perdita degli affetti più cari, la perdita delle ricchezze e le malattie inflitte, rimane fedele al suo Signore con immutato fervore.
Tuttavia Giobbe seppure paziente e devoto si confida con i suoi tre amici Elifaz, Bildad e Zofar e manifesta loro i suoi dubbi sulla sua triste condizione umana, lamenta la mancata partecipazione di Dio alle vicende umane e mette in dubbio la stessa giustizia divina. I tre amici dopo averlo ascoltato lo incalzano e gli ribadiscono che l’uomo deve avere fiducia piena e incondizionata nell’operato del Signore anche quando i fatti possono sembrare ingiusti. L’uomo non è in grado di comprendere fino in fondo il senso delle vicissitudini terrene.
Nella visione biblica l’uomo è in ogni caso colpevole per sua natura e condizione, come del resto lo è lo stesso diavolo degradato dalla sua primigenia qualifica di Angelo. Giobbe dopo aver ascoltato i tre saggi continua a non comprendere perché il Signore si accanisce così tanto nei suoi confronti e verso i molti uomini che vivono nella fede e nel timore di Dio.
Giobbe è talmente amareggiato che maledice il giorno della sua nascita ma deve alla fine rassegnarsi e rinunciare a capire. Bildad il suchita lo persuade che la vita terrena è una prova e tanto più si resiste al male, tanto più grande sarà la ricompensa nella vita ultraterrena. L’uomo si redime e si salva attraverso il dolore e la rinuncia ai beni terreni.
Goethe, nel suo poema ripropone l’esperienza di Giobbe ma il suo Faust, contrariamente a Giobbe, non si piega alla rinuncia come semplice atto di fede, non abdica di fronte alla propria intelligenza e compie la sua scelta. Faust si salva perché si è ribellato accogliendo anche il male, la sua ombra che porta dentro di sé e che non può disconoscere. Faust incarna ancora il ribelle Prometeo dapprima dannato e poi deificato.
La scelta di Faust mette ancora una volta in primo piano la difficoltà esistenziale della comunicazione tra Dio e l’uomo. I demoni, ovvero le parti oscure, il male dell’essere umano, pur non affiorando completamente alla coscienza, sono latenti, molto vicini e soprattutto terrestri, mentre l’Essere Supremo è indicibilmente in alto.
Mefistofele parla la stessa lingua di Faust, conosce i suoi desideri, le sue angosce ed è un interlocutore reale che spinge Faust a mettere in atto la ribellione all’incomprensibile giustizia-ingiustizia divina, ribellione che Giobbe non ha trovato il coraggio di praticare.
La lettura del “Libro di Giobbe” induce alla pietà per l’essere umano che continuamente si interroga sulla sua condizione e tenta di trovare il senso della Vita. Giobbe è un uomo intelligente ma rinuncia alla conoscenza, il Faust di Goethe nella scena del carnevale contesta le verità “incomprensibili” e “insondabili” del Dio biblico, giungendo alla demifisticazione della Bibbia e diventa intenzionalmente l’anti-Giobbe che usa la satira per giungere alla conoscenza.
Il Faust di Goethe mette in discussione i dogmi cattolici che devono essere accettati come puro atto di fede. Questo atteggiamento pone Faust in perfetta antitesi rispetto a Giobbe ma ne rappresenta contemporaneamente il suo complemento in quanto esprime la grandezza dell’uomo che rivendica la libertà delle sue azioni.
Faust è il Prometeo che, grazie alle sue superiori conoscenze, fa progredire l’umanità. Il Faust di Goethe rivendica la dignità dell’uomo e per questo merita di essere salvato alla stessa stregua del fedele Giobbe.
Faust, pur facendo il male, come ad esempio accade nella relazione tragica con Margherita, realizza anche il bene con le sue grandi opere di ingegneria e in tal modo dimostra che il bene scaturisce dall’azione e dall’impiego dell’intelligenza, senza accontentarsi della cieca fede.
Nel mito di Faust è contenuto il principio che il progresso può nascere anche da un atto di disubbidienza anche se questo atto può essere fatale per chi lo compie.
Aspasia S:::I:::