Iniziazione martinista nell’età contemporanea – Eros S:::I:::
Talvolta siamo così immersi in ciò che facciamo che non ci chiediamo più perché facciamo ciò che facciamo, diventa tutto un’abitudine.
È importante chiedersi “perché”, in quanto, rinnovare la propria motivazione dà forza e forma al progetto che ci siamo prefissati.
Questo ci permette di chiederci se effettivamente abbiamo ottenuto ciò che speravamo e di comprendere a che punto siamo nel percorso.
Guardandomi intorno, cerco di decifrare il mondo in cui vivo, e calare il martinismo nell’attualità in cui si trova, chiedendomi: ha senso il martinismo nell’età contemporanea?
La società contemporanea, eterogenea e multiculturale, tecno-frenetica e consumistica, propone al singolo individuo una varietà di corsi, tecniche e cammini spirituali pubblicizzati in tutte le salse, soprattutto in formato S.M.A.R.T., ripetendo slogan e frasi come dei loop, senza che l’individuo riesca a comprendere realmente il significato e il valore contenuto in quell’insegnamento.
Lo sdoganamento di testi e conoscenze spirituali, slacciate dal proprio contesto originario, a uso e consumo dell’avventore di turno, non crea, come si può pensare, un sincretismo, ma solo un enorme caos in cui l’individuo contemporaneo non fatica a sguazzare.
Forse perché c’è il bisogno di rispondere ad un sistema, il quale, sta abilmente e propagandisticamente lanciando messaggi che scuotono le fondamenta stesse degli individui.
La liquidità in cui questa struttura sociale, che pare un ossimoro, mette in difficoltà le coscienze, scegliendo le ideologie fondanti del tessuto sociale.
Per il principio del ritmo, la condizione di liquidità in cui ci troviamo non durerà per sempre: essa può essere un’opportunità per dare una nuova impronta alla società del futuro.
Bisogna anche tenere presente che questo stato indefinito e informe crea nell’individuo non poche problematiche, psichiche e filosofiche innanzitutto, portandosi con sé il suo bagaglio di conseguenze.
Ma queste problematiche sono la coda di una già decadenza dei valori spirituali cominciati qualche secolo fa.
Le crisi dell’uomo contemporaneo sono proprio legate alle tre domande esistenziali: chi sono, da dove vengo e dove vado.
Le prime due sono quelle più complesse, la terza è una conseguenza.
Premetto che io ritengo giusto e opportuno fare una critica dei testi tradizionali alla luce della ragione, contestualizzando gli avvenimenti, ma l’errore peggiore che fa la contemporaneità è proprio l’occhio superficiale con cui giudica le fondamenta culturali, demonizzando, quando può, il testo, talvolta sovvertendone e distorcendone il significato.
Considerando l’eterogeneità culturale del tessuto sociale, ognuno proverà, con i mezzi a sua disposizione, a rispondere alla domanda “da dove vengo?”, in altre parole, il background spirituale, suo proprio e quello trasmesso dal contesto di appartenenza, che a loro volta creano il tessuto psichico della persona.
La mancanza di una adeguata risposta alle domande esistenziali genera uno stato di sospensione dell’Io individuale.
Egli sarà costretto ad identificarsi e a dare “valore” a ciò che egli possiede e di conseguenza, a ciò che consuma.
Questo stato di sospensione dell’Io individuale inibisce il radicarsi dello stesso e di conseguenza connota l’adesione alla realtà e, di conseguenza, la risposta alla domanda “chi sono?”.
Senza un radicamento, l’io è attratto, come una falena, dalle luci sfavillanti dei neon e dalle appariscenze fluttuanti dell’esteriorità, generando un vero culto della maschera.
Questo culto è l’equazione matematica di una crisi, prima culturale in senso generale, e poi del singolo, con il suo decadimento filosofico.
Per riuscire ad emergere gli individui di questa generazione e di quella appena precedente pongono l’accento sull’apparire, sgomitando sulle piattaforme mediatiche dei social network, in una costante fame di apprezzamenti, in cerca di affermazioni e di una identità, che non può essere che patinata.
Come tutti gli strumenti utilizzati dall’uomo, essi subiscono il “principio di polarità” e i social network non ne sono esenti: come la spada, la differenza la fa la mano e lo spirito dell’uomo che la brandisce.
La comprensione di questo discernimento è legata, in proporzione, alla conoscenza, alla motivazione e alla profondità dell’individuo.
Riprendendo l’esempio della falena, l’uomo contemporaneo, anziché occuparsi della propria luce interiore, è distratto da ogni parte da luci led edulcorate.
L’uomo vede e vedendo desidera.
L’esperienza del vedere suscita nell’uomo degli stati psichici attigui all’invidia, alla gelosia o all’emulazione.
L’invidioso guarda l’altro con giudizio: vede l’altro sottrargli qualcosa, che non corrisponde ad un bene che è suo, ma a una sottrazione di una possibilità, come se egli non potesse più, e che, ormai, quel bene gli fosse precluso. Questo sentimento genera nell’invidioso dolore che non sfocia nell’ira, bensì nella tristezza, poiché si ritiene impotente nel raggiungere quel bene.
La gelosia, d’altro canto, teme che egli possa essere sottratto un bene che gli appartiene.
L’emulazione rappresenta invece la potenzialità, l’impegno di raggiungere le qualità di coloro che l’emulatore ritiene i suoi maestri.
L’uomo di desiderio è ancora vivo, ma spesso questo desiderio è rovesciato. I suoi occhi sono suscettibili alla Luce, solo che non sa indirizzare il suo desiderio.
Egli vaga da uno stato all’altro, da un vizio all’altro; sebbene non manchi di luce interiore, non la riconosce.
Un tempo la luce della religione o quella della filosofia erano i fari di riferimento per correggere la morale dell’uomo, donando loro una guida e un fine. Ad oggi queste luci hanno perso gran parte della loro azione.
L’uomo contemporaneo, rispetto ai suoi predecessori, gode di maggior libertà e di possibilità per autodefinirsi.
Libertà, però, resta solo una parola. Egli è strumento di strumenti, è macchina di macchine. È estraneo a sé stesso e per questo, come Itaca, è occupata dai Proci che se la contendono.
Che siano passioni e vizi, o altri uomini che impongono la loro tirannia, la loro libertà viene depredata.
Non vi può essere libertà se questa non nasce dall’interiorità. L’uomo cosciente e libero si caratterizza nell’aver maturato una certa libertà interiore che lo rende capace di prendere le distanze dalle passioni, dai giudizi e dai preconcetti e mantenere al primo posto il fine.
In una certa tradizione si chiama neutralità.
Il martinista, come un novello Ulisse, che ha viaggiato dieci lunghi anni, ritorna alla sua Itaca e lotta per riprendersi ciò che è suo.
Questo è quanto promette l’iniziazione martinista alla contemporaneità: la possibilità di ricollegarsi alla sua fonte primordiale.
Talvolta parlando con i profani, essi muovono l’obiezione del “come” avviene ciò. Io rispondo, con le parole di Pitagora: “la Potenza risiede accosto alla Necessità”. Mi spiego.
Osservando il martinismo, posso che dire che nella sua essenza contiene in sé una progettualità.
La via spirituale è spesso paragonata a diverse analogie: conquista, battaglia, viaggio, costruzione. Ognuna di queste analogie ha bisogno di una progettualità per avere successo. Ma innanzitutto ha bisogno di un fine, di un “perché”.
Sta proprio in questo, a mio avviso, la differenza fra l’Uomo di Desiderio e l’Uomo di Volontà, ma fra un po’ ci ritorniamo.
Il Martinismo pone l’iniziato lungo un cammino, egli sa dove inizia.
Gli vengono forniti una “ritualità” e “un fine”: la reintegrazione di tutte le virtù spirituali e divine.
Il primo compito da affrontare è “purificare la Luna“.
All’iniziato si accompagna l’iniziatore supportato dai fratelli, poiché, citando il Filosofo Incognito: “Fratelli miei! Iniziamo ad amarci; successivamente ci recupereremo e ci perfezioneremo mutuamente, se già da solo l’amore non ci avrà perfezionati.”
Come ogni progetto è essenziale un lavoro giornaliero che non si esaurisce con il rito quotidiano, per quanto rappresenti il fulcro della giornata del martinista.
L’iniziatore osserva il procedere del lavoro affinché, l’iniziato, purificandosi, possa accedere a quell’aria interiore nella quale risiede il suo centro.
L’iniziato nota subito un cambiamento nelle sue giornate accompagnate da una ritualità giornaliera e un rito neomeniale mensile scanditi dai ritmi della Natura in quattro tempi. Ancora Saint-Martin: “Negli esseri apparenti, non permane alcuna impressione dell’azione degli esseri veri; ecco perché le tenebre non possono comprendere la luce. Se vuoi comprendere questa luce non paragonarla a nessuna delle cose che conosci. Purificati, domanda, ricevi, attua: tutta l’opera è in questi quattro tempi”.
Grazie al ritmo della lunazione l’iniziato può avere la possibilità di scendere in profondità.
Egli è costretto ad esercitare quella neutralità dinanzi agli appetiti, rendendosi conto che, oltre al livello della sensibilità, interviene su una dimensione di livello superiore, che la trascende, senza reprimerla. Riuscire a trovare un equilibrio fra il superiore e l’inferiore, è auspicabile, ma non è scontata né facile da raggiungere.
Lentamente il martinista apre sempre di più gli occhi sui diversi aspetti della realtà: naturali, spirituali e divini. Le scienze spirituali, come insegna Saint- Martin, sono assai più sicure di quelle materiali, benché appaiono più semplici, allo scopo che diventino oscure ai parolieri.
Eccoci al discorso dell’Uomo di Volontà.
Il martinismo è una via che si definisce Teurgica/Magica.
Al martinista, come detto poc’anzi, gli vengono consegnati gli strumenti dell’Arte. “Arte” nella sua etimologia significa “fare”, progettare, avere un’abilità.
L’Uomo di Volontà è l’uomo che sceglie e, scegliendo, agisce.
La forza del desiderio, non si definisce nell’azione? L’uomo deve aver fiducia nella scelta, ma non deve essere una credenza in qualche dottrina. Occorre che sia attiva e rapida come un torrente; ma occorre che questo torrente sia infiammato, per poter illuminare il suo percorso.
Il martinista, non è un uomo del pensiero e della contemplazione, o almeno non solo, egli è un uomo d’azione.
Il martinista è un monaco, ma anche un guerriero che si separa, attraverso il cordone, dal disordine e dalla corruzione, desiderando l’oceano imperituro della luce dell’ordine e della vita. Con lo studio dei Maestri Passati, il confronto con il proprio iniziatore e i fratelli, l’introspezione interiore e i riti, il martinista mette mattone dopo mattone per dare senso al suo progetto di reintegrazione, se egli non si perde nelle insidie del “potere” e della “bramosia”.
Il percorso è lungo e le prove sono tante, ma il successo arriva per gli uomini di buona Volontà.
Riepilogando: ha ancora senso l’iniziazione martinista nell’epoca contemporanea? La mia opinione dice di sì, poiché l’iniziazione martinista può, con la sua semplicità, illuminare le coscienze del mondo contemporaneo, a patto che egli sia disposto a decelerare i suoi impulsi consumistici del tutto e subito, tipico di questa mentalità.
Il Martinismo, nella sua essenza, è un faro nelle tenebre, ospitando, come un’arca, l’alleanza di tutti gli uomini di desiderio.