L’Ain e i suoi riflessi – Bes S:::I:::
All’origine di tutto nella tradizione cabalistica vi è il nulla, l’Ain.
Permutando queste tre lettere in Ani il significato cambia nel pronome personale “io”, come se il vuoto originario e l’io siano i due punti del diametro di un cerchio che parte dall’emanazione, arriva alla mia coscienza, e ritorna al suo principio.
Inteso come qualcosa di perfetto al di là del tempo e dello spazio che l’uomo non può conoscere in nessun modo, David ben Avraham ha-Lavan descrive così l’Ain :
“Ha più essere di ogni essere del mondo,
ma è semplice;
e siccome ogni essere
si riconosce nella complessità
viene assunto come il Nulla.”
Nonostante l’assoluta impossibilità dell’uomo di conoscere Ain, i cabalisti, in particolar modo a partire da Isaac il Cieco, lo hanno cercato attraverso un gioco di riflessi, come quando contempliamo la presenza dell’astro solare vedendone la luce sugli oggetti posati sul tavolo o sulle pareti delle nostre abitazioni.
Questi raggi condividono con il sole la loro natura luminosa in una maniera che farà dire a René Guénon in altro contesto tradizionale:
“La luce è essenzialmente una e la sua natura non è diversa nel Sole e nei suoi raggi,
i quali ultimi non si distinguono se non in modo illusorio nei confronti del Sole stesso”.
(Rivista di Studi Tradizionali, 1947).
Il senso di Ain che diventa Ani va in questa stessa direzione.
Esiste così il sole che non vediamo, il sole riflesso sugli oggetti e il raggio di sole.
Ognuna di queste esistenze, chiamate Tzahtzahoth, possiede un nome:
- L’inconoscibile è Ain
- La proiezione come spazio (i nostri oggetti) è Ain Soph
- La proiezione come tempo (il raggio) è Ain Soph Aur
Ain Soph, nome che pur indicando una delle Luci di Ain è diventato per antonomasia il nome di Dio, si è iniziato ad usare dal 1200 inizialmente come aggettivo per definire qualcosa di infinito.
Dal 1300 lo troviamo quasi in tutte le pubblicazioni cabalistiche a volte confuso con la Shekhinah che, più specificatamente, è la presenza di Dio nel mondo, nell’uomo e nell’Universo ma che nei percorsi più legati all’immanentismo tende a coincidere con l’Assoluto.
Se vogliamo insistere sulla cosa è come se Ain Soph si riferisse all’infinito e quindi ad una condizione spiccatamente spaziale e Ain Soph Aur all’eterno, ossia al tempo.
Teniamo sempre in mente la coincidenza qualitativa confermata dalla permutazione delle tre lettere Ain in Ani, e riflettiamo sulla aderenza semantica tra origine dell’universo e origine dell’io. Quest’ultimo, quindi, ha una consistenza vuota, meglio dire “silenziosa” per il suo essere del mondo ma semplice e, così come percepiamo l’esistenza di una persona attraverso la sua voce, è in questa dimensione ermetica di assoluto silenzio che percepiamo l’esistenza originaria. Io sono quello.
La Creazione sott’intende l’avvenuta presenza delle tre Tzahtzahoth e infatti nel pensiero mistico ebraico è triplicemente divisa. Esiste una dimensione assoluta inconoscibile se non mediante la perdita dell’Io da cui scaturisce la creazione degli oggetti della Casa, la parola Bereshith che ha per lettera iniziale la Beth, il cui significato è appunto casa.
Esiste, infine, una creazione che è simile alla luce che cade sopra gli oggetti.
Queste ultime due creazioni posseggono un particolare contesto simbolico. Nel Sepher Yetzirah infatti vengono incisi – Chalaq – nel fango, quindi togliendo qualcosa da una materia già esistente formata da terra e acqua, i 32 sentieri mistici di Sapienza che generano la Casa.
Successivamente l’Eterno dà forma all’Universo mediante tre lettere Samekh, Peh e Resh che formano le parole Sepher – il testo, Sephar – il numero, e Sippur – la comunicazione.
Sepher è l’elemento visivo, la forma. Sephar è l’elemento numerico/ritmico e Sippur è la vibrazione, il suono.
Queste tre lettere sono infine le radici della parola Sephirah attraverso la quale la luce acquisisce un suo colore che attesta una specifica qualità.
Se quello che è stato scritto finora riguarda una creazione che odora di fede in quanto inconoscibile, ricordo l’importanza che per l’ebraismo hanno le lettere e la loro combinazione.
Pertanto, ancora una volta, assoluto inconoscibile e Io hanno la stessa qualità e la creazione potrebbe quindi essere vista come un ritorno, due semicirconferenze che si completano nel cerchio.
Per questo, però, occorre un Sentiero.
Nel XV/XVI secolo si diffusero le prime rappresentazioni grafiche cabalistiche a forma di Albero anche grazie a opere come l’Ilan ha-Gadol di Meir Poppers e la Kabbala Denudata di Knorr Von Rosenroth.
La rappresentazione ad albero, l’`Etz Chayyim, ha avuto l’indubbio vantaggio di identificare in un colpo d’occhio il percorso della luce, il raggio che si colora attraverso le Sephiroth mediante dei percorsi di trasmutazione interni chiamati canali, o Zinnoth.
Osservando l’Albero Cabalistico, notiamo alcune particolarità di cui spesso si legge e su cui non è mai scontato riflettere.
È possibile innanzitutto dividere l’Albero in tre colonne:
La colonna di destra è la colonna della Grazia, formata dalla Saggezza (Chokhmah), dalla Grandezza, o dall’Amore (Gedulah) e dalla Vittoria (Netzach). È la colonna delle forze ampliatrici, positive di segno e maschili. L’Espansione.
La colonna di sinistra è la colonna della Severità, formata dall’Intelligenza (Binah), dal Potere o dalla Severità (Gevurah) e dalla Maestà (Hod). È la colonna delle forze limitanti, negative di segno e femminili. Il Contenimento. Considerando il contenimento come l’utero che accoglie il seme, in questo senso femminile, e l’espandere come il seminare e avendo contezza dei tre triangoli che si vengono a formare a partire dal basso del nostro albero, il triangolo naturale legato al fisico, quello psichico legato all’anima e quello dell’intelletto legato allo Spirito vediamo inoltre come, a sinistra, Hod contiene il naturale, Gevurah lo psichico e Binah l’intelletto così come, a destra, Netzach amplia il naturale, Gedulah lo psichico e Chokhmah l’intelletto.
La colonna centrale, che sorregge l’intero Albero è la colonna dell’Equilibrio e della Bellezza, formata dalla Corona (Kether), dalla Bellezza o dalla Misericordia (Tiphereth), dal Fondamento o dal Giusto (Yesod) e infine dal Regno (Malkhuth). Assume questo nome in quanto nel suo proiettarsi equilibra le forze contenitrici e quelle espansive. Così Yesod equilibra Netzach e Hod; Tiphereth, Gedulah e Gevurah; Kether, Chokhmah e Binah.
L’Ani, l’Io, è attraverso i tre libri, ossia Sepher, Sephar e Sippur, che contempla l’Eterno e l’Infinito percependo l’inconoscibile. Questi tre libri sono raccolti nella parola Sephirah.
Le Sephiroth sono vetri colorati, oggetti della casa, che raccolgono la luce e le danno una specifica qualità attraverso la quale il nostro corpo, la nostra anima e il nostro intelletto si proiettano in una direzione compiendo un viaggio.
I tre triangoli, il naturale, lo psichico e l’intellettuale, sono l’Ain, l’Ani, il Nulla che si muta in Io. Questo avviene quando dal parlare “di Dio” parliamo “con Dio” sino a “essere Dio“.
Questo è il serpente che si morde la coda, la circonferenza chiusa, il ritorno che mette fine al Tiqqun.
Bes S:::I:::